BULLI NON SI NASCE E CYBERBULLI SI DIVENTA

CYBERBULLI

Nessuno nasce violento ma tutti possono diventare bulli. E oggi con le nuove tecnologie della comunicazione digitale è ancora più facile far emergere aggressività e violenza come gioco e divertimento, senza una chiara consapevolezza della gravità dei propri comportamenti.

Non molto tempo fa il bullismo era quasi esclusivamente costituito da azioni fisiche violente e decisamente intenzionali a carico di soggetti deboli, timidi e insicuri. Spesso si trattava di femmine impaurite o di maschi fragili e  insicuri o con qualche disabilità. Potevano essere i compagni più piccoli o quelli che non riuscivano bene a scuola su cui il bullo si scagliava per poter dimostrare la propria superiorità e essere ammirato o riconosciuto leader.

Secondo un’indagine di qualche anno fa, realizzata dalla Società Italiana di Pediatria su un campione di circa 3000 ragazzi tra gli 11 e 14 anni, le motivazioni che spingevano i bulli a diventare tali erano quello di avere il riconoscimento degli amici (84%), essere ammirati dalle ragazze (61%), non sentirsi esclusi o emarginati dal gruppo (61%) e anche divertirsi alle spalle delle vittime (45%). Di solito vi era poca consapevolezza relativa al far del male perché prevaleva il gusto del “potere” che spesso spingeva i bulli ad assumere comportamenti violenti sia per rivalersi di soprusi che per il piacere del divertimento.

Oggi si diventa bulli per gioco, ovvero diversamente da prima, per divertirsi e far divertire, per essere popolari e occupare il palcoscenico globale che è a portata di tutti con il web. I nuovi strumenti tecnologici usati già dai bambini con grande abilità e frequenza, sono un mezzo potente di comunicazione in grado di far avere grande visibilità nella frazione di un secondo.  Si possono infatti trasmettere in maniera “virale” notizie offensive, calunnie, minacce e quant’altro possa colpire o far del male che allo stesso tempo rende popolari perché fa divertire.

Alimenta questi comportamenti il piacere derivante da un pubblico plaudente che ti fa sentire “figo”, o ancor più supereroe. Domina l’idea che in rete tutto sia possibile e ognuno possa permettersi di dire e fare ciò che vuole. È diffuso il pensiero che pure le vittime si divertano e sanno stare al gioco. Tra i minori inoltre manca quasi del tutto l’idea che può star male e soffrire chi è oggetto di aggressione. Il dolore non è un sentimento condiviso soprattutto perché il web non ti fa provare sentimenti. Al massimo ti da emozioni immediate che si collocano sull’asse del “mi piace” o “non mi piace”, e il comportamento violento del cyberbullo diventa oggetto di ammirazione, esempio da imitare e riprodurre. Nessuno, al contrario, si spinge a chiedersi cosa prova l’altro, nessuno si interroga sul senso delle azioni.

Prevalgono piuttosto i modelli forti degli adulti, i comportamenti violenti o caratterizzati da prepotenza a cui spesso i bambini si ispirano fin dalla prima infanzia. Mancano spesso autorevolezza e normatività dei genitori, capaci di contenere l’aggressività e trasmettere i valori della legalità e del rispetto reciproco. L’assoluzione che questo adulto, genitore o insegnante che sia, tende a dare agli atteggiamenti provocatori dei bulli, spesso giustifica la violenza. Di certo non insegna a distinguere il male dal bene.  Così si diventa stalker grazie a queste storie e a questi percorsi e le radici da cui nascono persecutori e cyberbulli sono profonde, provengono sia dalle esperienze di frustrazioni e di offese subite che da vuoti affettivi e da mancanze.

Giuseppe Maiolo

BULLI NON SI NASCE E CYBERBULLI SI DIVENTA ultima modifica: 2017-09-19T00:31:36+00:00 da Giuseppe Maiolo

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