Cibo e psiche: quale rapporto?

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Il tema dell’Expo 2015 che si è appena aperto a Milano è: “Nutrire il pianeta”.

Una grande sfida che, come dice Umberto Veronesi, si muove tra due estremi paradossali, la malnutrizione e l’obesità.

Ci sono quindi molti aspetti che ci spingono a non perdere l’occasione per riflettere su questo argomento e, dal mio punto di vista, provare a coniugare le due facce del problema cui allude il grande oncologo italiano con quello che è non solo un significato biologico ma anche psicologico del cibo.
L’atto di alimentarsi, sia quando avviene in modo sbagliato o eccessivo, costituisce il primo gesto di contatto con il mondo esterno che vive ogni essere umano.

Il bambino infatti attraverso la madre, o la figura che ne fa le veci, conosce l’ambiente esterno, il mondo oggettivo, l’altro da sé e l’universo affettivo che gli viene offerto. Ed è un incontro particolare che, fin dai primi istanti di vita, è mediato da due sensazioni fondamentali: la fame, esperienza spiacevole e carica di angoscia, e il senso di sazietà che, al contrario, dà un senso di benessere e di piacere.

Per il neonato, infatti, il modo più immediato per placare la tensione e la paura di non sopravvivere, ma anche per trovare un senso di piacere totale, è quello di succhiare. In questo modo, fin dall’allattamento, la bocca diviene la zona più significativa per la sopravvivenza fisica, ma anche per ciò che riguarda la funzione psicologica. Da grande non si perderà questa valenza simbolica, caso mai si trasformerà, ma andrà ad alimentare, in modo non sempre consapevole, ad esempio il bisogno di gratificarsi con il mangiare, il bere o il fumare.

Come sosteneva Freud, il cavo orale in fondo, è la prima zona erogena che per un lungo periodo e sicuramente fino allo sviluppo del linguaggio, sarà strumento di comunicazione non verbale capace di trasmettere soddisfazione o scontentezza, benessere o malessere. E questo perché insieme con il nutrimento del corpo, il neonato percepisce il calore del corpo che lo nutre, ma anche il suo affetto, l’amore e la protezione, l’accettazione e la soddisfazione emotiva. Oppure il contrario di tutto questo.

Percezioni che andranno nel corso della vita a coniugarsi con la sicurezza o l’ansia, la tranquillità o il senso di precarietà, l’amore o il rifiuto affettivo. Se l’alternanza tra fame e senso di sazietà, tra sicurezza e insicurezza, tra angoscia e benessere, saranno adeguate e le figure importanti del bambino offriranno atteggiamenti equilibrati e di contenimento, in questo primo periodo della vita, ma anche e soprattutto in età adulta, il rapporto con se stessi e con gli altri potrà essere sano. Viceversa, sarà disturbato se in particolare la madre non saprà assicurare al proprio piccolo quell’apporto affettivo, quella fiducia e sicurezza di base senza le quali il bambino non può crescere, sviluppare il processo di individuazione e diventare autonomo.

E’  molto probabile infatti che a partire da quelle prime esperienze il cibo acquisisca un valore simbolico particolare e condizioni  il comportamento dell’individuo adulto. E’ questo che fa dire comunemente che si mangia per placare l’ansia, che il cibo è un modo per compensare la mancanza di affetto  o altre cose che sottolineano la stretta relazione tra la funzione alimentare e lo stato psichico. Il rifiuto del cibo che, in età adolescenziale dà origine ad una delle patologie più gravi chiamata “anoressia”, è un disturbo che ha come riferimento proprio il rapporto con l’alimentazione è, solitamente rappresenta, un attacco diretto al proprio corpo percepito come nemico,  a una parte importante del sé da negare, rifiutare, o addirittura eliminare.

Così le condotte alimentari, almeno nel mondo occidentale, che producono disturbi psicosomatici o vere e proprie patologie, sono  significativamente collegate a livello profondo e inconscio con i processi emotivi, l’affettività e le relazioni interpersonali.

 

Giuseppe Maiolo

Cibo e psiche: quale rapporto? ultima modifica: 2015-05-06T16:29:01+00:00 da Giuseppe Maiolo

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