I giovani e il PC

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Oggi i ragazzi non stanno solo davanti alla TV ma sappiamo bene che li troviamo con sempre più frequenza davanti al PC. Il computer è una realtà talmente diffusa che ha cambiato e sta cambiando radicalmente le nostre abitudini quotidiane e il nostro modo di relazionare. A differenza della TV che come dice Francesco Antinucci, ti permette di scegliere cosa vuoi vedere, il computer di consente di scegliere cosa vuoi fare. Non è una differenza da poco se non altro perché questo nuovo “demone” entrato ormai in tutte le case è collegato all’azione e anche all’apprendimento. Ma spesso è percepito come un demone perché con esso si può giocare ed essere distolti dai propri impegni scolastici.

Non è un pensiero sbagliato. Ma demonizzarlo non ci aiuta, non ci serve ad affrontare la questione relativa al suo utilizzo sempre più necessario nel nostro contesto sociale. E i giovani che crescono in questo tempo hanno l’assoluta necessità di familiarizzare il più possibile con esso. Non c’è bisogno di promuoverlo, ovviamente. Già troneggia nella nostra quotidianità. Bisogna saperlo usare e sfruttare. Più ancora è necessario farlo utilizzare al meglio. In fondo l’interattività del computer rispecchia la vita quotidiana: da una cosa che fai ne deriva un’altra, io parlo e un altro risponde. Diversamente dalla televisione che ti richiede di essere passivo, il PC ti impone di agire, di fare. Per questo raccoglie tanti consensi tra gli adolescenti che divengono facilmente esperti. Il loro pensiero è caratterizzato dall’azione, e la loro ricerca è principalmente quella di verificare cosa succede, che accade se faccio un gesto, se muovo un arto, se agisco in un determinato modo. Il computer è un simulatore di situazioni e per questo risponde alle esigenze del giovane che ha un bisogno impellente di conoscere e sperimentare situazioni nuove.  


Il giocare con il computer quindi, ripropone le funzioni del gioco, la valenza che esso ha nell’apprendimento soprattutto durante l’infanzia. In adolescenza il discorso è ancora valido. Molte cose si scoprono ancora giocando, perché il gioco di per sé è una finzione di situazioni reali e il computer simula la realtà. I videogiochi quindi di per sé sono occasioni di apprendimento e di conoscenza. Sono i nuovi modi di apprendere e di crescere che solo qualche anno fa erano impensabili. Con essi si possono sviluppare competenze specifiche e creatività, abilità manuali e intellettive. Se il computer riproduce la realtà, significa anche che chi lo usa adeguatamente è in grado di crearla, cioè può produrre qualcosa che non esiste. E questa è una grande potenzialità che ci offre la nuova tecnologia.


Il problema, caso mai, è quello di capire quanto queste innovazioni rivoluzionarie di cui appena cominciamo a renderci conto, possano contenere aspetti negativi e pertanto che ci richiedano attenzione e controllo. Una delle cose più pericolose che sentiamo nel rapporto con le nuove tecnologie sono ancora una volta i contenuti di violenza simulata che vengono veicolati dai video giochi più gettonati e il fatto che il gioco avvenga in contesti di isolamento.
Rispetto al primo ho già detto parlando di televisione e confermo l’idea che la continua esposizione alla violenza generi alla lunga violenza e aggressività.

Ma sarebbe troppo ingenuo pensare che possa bastare il contenimento di quella espressa nei media per prevenire lo sviluppo della violenza nelle relazioni quotidiane. Non dimentichiamo che in fondo cinema televisione, video giochi, non fanno altro che rappresentare la realtà che fatta di episodi continui di violenza e soprusi. Pensare di risolvere il problema oscurando le tracce e nascondendo le rappresentazioni violente può essere un po’ come fare la politica dello struzzo. Perché se non modifichiamo le nostre relazioni a partire da quelle familiari spesso contraddistinte da aggressività e tensioni, disinteresse emotivo e lontananza affettiva, poco conta una casa dove i media hanno smesso di parlare.


Continuo a credere di più nell’importanza di essere presenti, di stare a fianco dei figli. Il che vuol dire essere attenti a ciò che vivono e a quello che provano, parlare con loro e non solo quel tempo che avanza del giorno, ma quanto è necessario a capire le cose che ci dicono anche senza parole, le domande che pongono e che nessuno ascolta. La censura serve a poco o a nulla. Serve molto di più la spiegazione dei fatti di violenza che sono sotto gli occhi di tutti, in famiglia, a scuola, nella società. Urge riprendere un contatto diretto con le loro emozioni per non dover dire, quando accadono fatti terribili e apparentemente incomprensibili: “Non me lo sarei mai aspettato da mio figlio.”

Giuseppe Maiolo

I giovani e il PC ultima modifica: 2008-04-06T16:53:46+00:00 da Giuseppe Maiolo

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