La malvagità che ci appartiene

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Sconvolgimento e angoscia collettiva sono i sentimenti che ci travolgono tutti di fronte al terrorismo. Emozioni che sconfinano quando irrompono d’’improvviso nella coscienza le immagini della violenza incontrollata e incontrollabile e tengono in ostaggio la ragione. Per l’appunto il terrore, cioè la paura all’ennesima potenza, come espressione della totale sensazione di impotenza, quella che ti fa sentire provvisorio ovunque, senza un posto sicuro dove andare o sostare.

Del resto ancora prima di quell’orgia di violenza, c’’è nel terrorismo l’’obiettivo preciso di sgominare e destabilizzare la coscienza. E allora se la ragione viene azzerata, che fare per contenere l’’angoscia? Cosa serve per gestire la paura e la rabbia? Soprattutto come impedire che l’orrore si trasformi in odio, lo smarrimento in fobia collettiva altrettanto devastante? Non è facile rispondere.

Bisognerebbe provare a riconoscere che  la malvagità umana non appartiene ad un mondo diverso dal nostro. Il lato ombra della nostra natura non proviene da un territorio oltre confine, come quei terroristi che hanno tenuto in scacco Parigi, non erano stranieri.

Tentare questa strada è, come diceva C. Gustav Jung, un’’impresa ardua, quasi impossibile perchè “significa accettare la giustificazione dell’esistenza di ciò che è irragionevole”. Forse,però, è l’unica cosa che ci può servire: riconoscere che la malvagità nasce e vive nell’uomo, attraversa la mente e il cuore degli esseri umani, si sviluppa nella nostra stessa società, spesso con la complicità del “silenzio dei giusti” che preoccupava M. Luther King più della malvagità stessa.

Nell’irrazionalità di un atto terroristico c’è tutta l’irragionevolezza confusiva e folle del nostro modo di essere e di fare che, ad esempio, si riflette in quel detto latino che afferma: “se vuoi la pace, prepara la guerra”.

Domandarsi allora chi sono questi terroristi che ci attaccano o interrogarsi sulla follia dei loro gesti e marciare a braccetto per combattere la violenza e affermare il diritto di libertà di espressione, può tranquillizzarci ma anche essere improduttivo o un esercizio inutile se non è accompagnato dal coraggio del confronto con le nostre stesse contraddizioni individuali e collettive.

La marcia di Parigi, www.cdt.ch/mondo/cronaca/122835

La marcia di Parigi,
www.cdt.ch/mondo/cronaca/122835

Solo attraverso di esso, come diceva ancora Jung, possiamo “Estrarre la saggezza dalla follia”. Ovvero tentare di trasformare il “male” e provare a contenere la malvagia energia della devastazione. Operazione per nulla semplice in quanto significa prima di tutto riconoscere il proprio potenziale distruttivo che si annida nelle pieghe, sovente indecifrabili, della nostra anima.

Successivamente, e solamente dopo, possiamo tracciare il profilo o disegnare il volto del nemico. Solo a quel punto possiamo accorgerci, senza alcuna giustificazione della violenza, che terroristi non si nasce ma, caso mai, si diventa. E accade secondo un processo complesso che, come sappiamo, ha radici sociali, economiche, religiose ma anche psichiche.

In questo ultimo caso non necessariamente si tratta di un aspetto malato della mente. Più di tutto sembra prevalere una sorta di scissione manichea della realtà: di qua sta il bene e di là il male. Anche se alla base delle azioni terroristiche ci sono rivendicazioni di natura diversa che rimandano a condizioni materiali e morali di sofferenza o di oppressione, è solitamente l’incapacità degli individui ad elaborare sentimenti come la rabbia e l’odio a far dilagare la crudeltà del male. Così il terrorismo si alimenta e si sviluppa all’interno di polarità difficili da avvicinare che mantengono una netta frattura tra il “noi” e il “loro”, la “mia” fede e la “tua”, il “bene” e il “male”. Questa scissione che da individuale si fa collettiva sostiene ogni forma di estremismo della coscienza e della ragione.

Conoscere questo processo può esserci utile se non altro per tentare di interferire con l’odio e la malvagità. Non per giustificarne l’esistenza, ma per comprenderne le radici. Soprattutto per non essere contaminati e contagiati da quella che è generalmente la perdita dell’empatia e la deumanizzazione dell’altro. Dimensioni specifiche che si accompagnano sempre ad ogni forma di violenza compresa quella che alimenta il terrore.

Giuseppe Maiolo

La malvagità che ci appartiene ultima modifica: 2015-01-14T02:12:38+00:00 da Giuseppe Maiolo

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