La funzione del cibo non è solamente quella di soddisfare le necessità biologiche e di crescita, ma è anche quella di garantire il benessere psicologico. Il senso della fame dà angoscia e vuoto, la sazietà dà sicurezza e piacere. iscono per sempre un binomio inscindibile. Quando avverte la fame il bambino piange e si dispera ma la sua angoscia ha termine quando viene alimentato e quando qualcuno si occupa amorevolmente di lui e soddisfa i suoi bisogni.
Ci sono madri che, ad esempio, si preoccupano quasi esclusivamente di quanto il bambino mangi, delle merendine da portare a scuol e altre cose simili. Questi genitori eccessivamente attenti al cibo mostrano in fondo una certa ansia e più ancora una inconscia aspirazione a voler dare ai figli le migliori opportunità per renderli forti solo sul piano fisico. Può sembrare un ragionevole desiderio ma rivela invece un’insicurezza di fondo. È come se questi genitori non riuscendo a dare ai loro figli la forza del loro affetto, tentassero di dare attraverso il cibo, quello che non sanno dare come amore. L’attenzione eccessiva all’alimentazione potrebbe mascherare un rapporto incompleto tra genitore e figli.
Nei casi di obesità in età evolutiva e quando questa non dipende da disfunzioni endocrine, il sovrappeso sembra essere la conseguenza di una intrusione eccessiva della madre nella vita del figlio e nella sua libertà di alimentarsi. Non è raro trovare in psicoterapia che questi bambini non “avvertono” come proprio il loro corpo. Il vissuto è di qualcosa che appartiene ancora alla madre. Si tratta infatti di bambini che faticano a rendersi indipendenti, che sono insicuri, timorosi, indecisi e alle volte poco capaci di adattamento sociale. Dare dunque un giusto valore al cibo significa non sostituirlo all’affetto. Vuol dire in altre parole corretta conoscenza dei criteri nutrizionali e pertanto meno merendine, forse anche meno bistecche, ma certamente meno compensazioni orali e più amore autentico.