L’innamoramento è un cumulo di sentimenti, di solito un’esplosione di emozioni. Non è assimilabile all’amore anche se ne può costituire la prima tappa. E’ una sorta di estasi che non lascia spazio ad altro. Lo sanno bene gli adolescenti con i loro fuochi che si infiammano d’un colpo anche se poi altrettanto velocemente si spengono. Per tutti comunque innammorarsi assomiglia un profondo rapimento dell’anima che si combina con un estremo bisogno di fusione con l’altro.
Nell’innamoramento non vi è confine. Non esiste traccia di demarcazione perché gli innamorati vivono la magia di essere una cosa sola, unica indivisa. In questo crogiolo di sentimenti che a volte scardina le certezze della ragione non vi è spazio all’attesa, alla calma. Non ci si può assentare, né essere lontani. Quando l’amato o l’amata manca oppure si allontana, quando ci priva anche per un attimo di sé, prevale l’angoscia e il bisogno dell’altro, il desiderio della sua presenza e un misto di vuoto, paura e terrore della solitudine.
Così nell’innamoramento l’individualità si annulla, scomapre e prevale la devozione toale, estrema. Al limite del sacrificio. Domina il contatto corporeo, l’attrazione fisica, sessuale. Allora i partner si cercano, irresistibilmente. Per esistere hanno bisogno l’uno dell’altro. Si appartengono. Ma pure si idealizzano. Ciascuno esalta l’immagine dell’altro, lo mitizza. Per questo gli innamorati, incapaci di critica reciproca, stanno distanti dalla realtà. Sono sognanti. Non è un caso che nell’innamoramento esiste solo l’amato o l’amata. La coppia si isola, si allotnana dagli amici, dal mondo dei rapporti interpersonali. Si può anche essere ben disposti verso gli altri, ci si può sentire più vivi e carichi di energia, ma chi ama ed è riamato ha la sensazione di non aver più bisogno di nessun altro che del partner.
Dal libro: G. Maiolo, Psicologia del quotidiano, Ed. San Paolo