Morte e resurrezione, oscurità e nuova luce. Tra questi estremi si compie il percorso simbolico di ogni Pasqua. Le rappresentazioni possono variare, ma il significato rimane lo stesso, ovunque.
Per i cristiani la Pasqua è il tempo della sofferenza di Cristo ma anche della sua rinascita. Le celebrazioni della Settimana Santa ripropongono la storia della morte, ricordano eventi millenari e ci offrono riti liturgici che possono anche essere letti in chiave psicologica. La liturgia sacra di questi giorni ci aiuta a riconoscere nei gesti la valenza simbolica e contemporaneamente il segno di un processo psicologico che rappresenta e racconta la vita nel suo sviluppo e nei suoi passaggi cruciali.
Infatti i riti della Pasqua, parola derivata dall’ebraico pesach, significa «passare oltre», alludono proprio attorno ai passaggi della vita, e ai cambiamenti esterni o interiori. È allora che nella vicenda umana lutto e speranza, dolore e gioia si fondono. I colori scuri dei paramenti, le statue coperte nelle chiese, la mestizia dei gesti mentre rinviano il credente al ricordo della morte di Cristo, rimandano pure alla perdita interna di parti proprie, alla separazione dalle certezze e al vuoto infinito che si avverte quando si affronta una trasformazione.
La morte è in fondo ogni mutamento.
È l’abbandonano di quegli aspetti che hanno concluso il loro percorso e ci chiedono un rinnovamento. È il punto in cui ci si sente svuotati, indefiniti, smarriti nell’indifferenziato di una fisionomia perduta mentre ancora non s’intravede un nuovo orizzonte né una nuova dimensione. Di solito è un tempo lacerante, un percorso faticoso. È l’umana Via Crucis che ci appartiene.
Accade continuamente nel corso della nostra esistenza. Ad esempio quando dall’infanzia si naviga nel mare turbolento e sconosciuto dell’adolescenza che non lascia scorgere approdi sicuri o quando ci si avvia verso la vecchiaia, così come può avvenire ogni qualvolta ci ritroviamo immersi nella sofferenza per una qualsiasi perdita affettiva e non riusciamo a rintracciare nuove modalità di vita o un rinnovato ordine di valori. Ogni volta si tratta di uscire dal buio, di risorgere, cioè emergere dagli inferi, dalle profondità oscure del proprio star male, dalla confusione e dal caos.
La passione e la morte di Cristo, che si rinnovano ogni anno nella liturgia, rimandano alle energie ctonie cioè quelle del sottosuolo della coscienza e della nostra psiche profonda, in cui tutti, dolorosamente immersi, dobbiamo spesso sostare prima di trovare la forza per accendere una nuova luce. Infatti solo alla fine di un percorso, come in un processo di rigenerazione e di rinascita, come rappresenta la liturgia della veglia pasquale, compare il “Lumen Christi”, la fiamma del cero che viene accesa a testimonianza del Cristo risorto.
Esso simbolicamente rappresenta la fiducia nella possibilità di rinascere e insieme la speranza interiore che con il rinnovamento dell’anima si possa uscire dalla notte buia della sofferenza trovando un nuovo equilibrio.
Giuseppe Maiolo