La vecchiaia. Un tempo da salvaguardare

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“Non indispensabili allo sforzo produttivo del paese”. Queste le parole pronunciate alcuni giorni fa dal presidente della Liguria Giovanni Toti che ha parlato dei vecchi. Doveva forse essere la difesa di una fascia della popolazione a rischio nel tempo della pandemia, ma è risultata invece una frase infelice che ha messo in evidenza un comune modo di pensare la vecchiaia.

Del resto, secondo il Toti-pensiero, la fragile condizione fisica dei vecchi spingerebbe verso la loro tutela perché il loro star male potrebbe aggravare le condizioni sanitarie dell’intera società.

Ma al di la di queste parole, la vecchiaia ormai si accompagna a sentimenti che hanno a che fare con la paura e l’angoscia, l’inefficienza e la malattia.

È reale che l’anzianità sia l’epoca della fragilità e della vulnerabilità. Ma una volta essa era anche «l’età dell’oro» perché simbolicamente rappresentava il tempo della saggezza e l’anziano colui che, avendo memoria del passato, sapeva trasmettere le conoscenze acquisite alle nuove generazioni. Adesso sembra non esserci più nulla da trasmettere e poco da consegnare agli altri perché tutto pare abbia poca storia. Life is now è il mantra che ci accomuna. Così all’uscita dal ciclo produttivo, il vecchio perde ruoli e funzioni. Annullati del resto un po’ tutti i riti di passaggio che, come anelli di congiunzione tra le varie fasi della vita, avevano il compito di accompagnare e sostenere i cambiamenti, l’entrata nella vecchiaia è spesso evento repentino e radicale. Ha solitamente inizio con la conclusione dell’attività lavorativa e il pensionamento e l’esordio fa immediatamente gravitare nel tempo comunemente associato alle “perdite” fisiche e mentali, operative e relazionali.

È vero che la vecchiaia porta con sé grandi e visibili trasformazioni del corpo dove prevale la vulnerabilità e le modifiche negative, le difficoltà, la malattia e le condizioni di fragilità, ma è altrettanto vero che questa epoca della vita, sempre più ampia e diffusa, è anche caratterizzata da processi di compensazione e di integrazione delle esperienze. L’avanzamento dell’età non compromette l’interesse per la vita. Anzi “La curiosità non invecchia” dice Massimo Ammanniti, in un lavoro in cui scrive: “Si invecchia veramente solo quando non ci si stupisce più”

Allora se la vecchiaia non è più il tempo del “fare” come produzione di ricchezza economica, è sicuramente l’epoca di nuove consapevolezze e di importanti testimonianze. È il tempo in cui il dialogare con se stessi è di per sé produttivo in quanto apre a riflessioni da condividere con gli altri e consente rinnovati interrogativi sull’esistenza che permettono di rileggere e rinarrare la propria storia. Ma non con la nostalgia del passato, quanto con lo sguardo ampio della vita trascorsa e gli strumenti dell’esperienza maturata. Penso così all’importanza che nel corso della vecchiaia ha il narrare agli altri le visioni della propria esistenza, come pure gli errori o i fallimenti.

Credo che molti luoghi comuni relativi all’invecchiamento mentale, alla perdita della memoria di lavoro, quella a breve termine, e al deterioramento psicofisico, potrebbero essere contenuti se i vecchi raccontassero di più delle loro storie ai bambini e ai giovani, ma anche agli adulti. Qualche anno fa Fulvio Scaparro in un libro ancora fresco e attuale dal titolo “Vecchi leoni e la loro irresistibile alleanza con i giovani”, scrisse proprio degli anziani che parlano di libertà e di sesso, di emozioni come l’amore, il dolore, la gioia e la tristezza. Vecchi che raccontano le loro esperienze personali, portano esempi storici, pensieri e riflessioni. E i giovani ascoltano. Scaparro, ed io con lui, sostiene che la vita tutta, dall’infanzia alla vecchiaia è “preziosa e fertile dal primo all’ultimo secondo”. Perciò ricca di storie da consegnare e affidare alle nuove generazioni.

Giuseppe Maiolo

La vecchiaia. Un tempo da salvaguardare ultima modifica: 2020-11-08T22:07:37+00:00 da Giuseppe Maiolo

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