Perch

Nel mio lavoro clinico incontro ogni giorno il dolore dell'anima e, spesso, anche la fatica di superare la disperazione. Chi sta male solitamente sente il peso della vita e molte volte non riesce a dare un nome alla sua sofferenza. Non sa dire cosa lo imprigiona nè come è finito nell'angolo oscuro dell'esistenza. Aiutare chi soffre a recuperare la fiducia in se stesso e negli altri richiede uno sforzo enorme perchè ciò che serve ritrovare è il coraggio di alzarsi e riprendere il cammino, magari la lotta quotidiana. Chi si trova alle corde, chi ha perso la speranza si ripete quel mantra negativo che non offre prospettive, ovvero "A che serve? Tanto non cambia nulla". Per emergere dal magma nero e denso della depressione c'è ovviamente bisogno di rimettere in moto la speranza.  Però come dice Sant'Agostino, il grande pensatore e dottore della Chiesa,  "La speranza ha due figli, l'indignazione e il coraggio". 


Ecco, a leggere le cronache continue degli scandali, degli abusi e del malcostume, gli interessi privati di chi ha funzioni pubbliche, la degradazione morale di una certa politica, viene da chiedersi "Perché non ci indigniamo? Perché non reagiamo?" La prima risposta potrebbe essere questa depressione collettiva che come molte indagini sociali mettono in evidenza, sta interessando il nostro paese, ormai arrivato al minimo della speranza. Se manca la speranza che qualcosa possa cambiare non troviamo neanche il coraggio di reagire. Ma la seconda ipotesi è che sia l'assuefazione al degrado, l'abitudine all'immoralità e l'indifferenza diffusa a impedirci l'indignazione.
L'indignazione richiede  forza per vincere il torpore di una mente allagata da immagini negative, di continua sopraffazione, di prepotenza e di ingiustizia che azzerano ogni possibile reazione. Così come il depresso non ha energia, anche l'indifferenza rende passivi e fa sì che si reagisca a tutto con un sorriso ipocrita e falsamente divertito.  Si tollera, allora, la devastazione morale e il malaffare, l'abusivismo collettivo e il bullismo del potere, la prepotenza del Principe ma anche le "imprese"  dei tanti imitatori di periferia e di provincia. Il modello imperante, quello pervasivo e ipnotizzante veicolato  dalla grande comunicazione mediale, sta addormentando la coscienza in un sonno profondo, e fa sì che un po' tutti restiamo a guardare senza proferire parola e senza reazioni. Allora non accade più di indignarsi per ciò che scopriamo avvenire nelle stanzeIndignez_vous_SHessel.jpg orgiastiche del potere o nella strada accanto alla nostra come scopriamo leggendo una mattina il giornale provinciale. Non ci indigniamo  perché siamo caduti in depressione, ma molto probabilmente anche perchè siamo collettivamente ipnotizzati e assuefatti all'immoralità e alla violenza e piano piano convinti che il male sia normale. Serve allora un movimento individuale, uno scatto della coscienza per risvegliarsi e trovare il coraggio di reagire collettivamente. "Indignez vous!" dice con forza il filosofo novantenne Stéphane Hessel in un libretto uscito anche di recente in Italia. Indignatevi, ripete Hessel nelle poche pagine del suo lavoro, perché l'indignazione è la chiave dell'impegno e della presa di coscienza. E' una decisione razionale, la riscoperta del desiderio di servire una causa, l'amore per la giustizia e la verità di una comunità che sembra ormai votata unicamente allo spettacolo e al rumore assordante del silenzio compiaciuto.

Perch ultima modifica: 2011-03-13T19:54:50+00:00 da admin

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