La pubertà è il versante biologico dell’adolescenza. È l’epoca delle grandi trasformazioni fisiche, del turbine ormonale, delle mutazioni somatiche che imbarazzano. È il tempo veloce in cui l’aspetto esteriore del bambino cambia visibilmente. Si potrebbe dire da un giorno all’altro.
I maschi, un po’ più delle femmine, crescono rapidamente di statura. Allungano le braccia e le mani che sembrano pendere maldestramente da un corpo ancora sottile e disarmonico che genera fastidio e disagio. I piedi non ci stanno più nelle scarpe e i pantaloni si restringono. Sul viso compaiono i primi segni di una peluria buffa che si accompagna a una miriade di brufoli antiestetici e fastidiosi. Le femmine, con non meno imbarazzo, scoprono un seno che si gonfia, i fianchi che si ingrossano e divengono tondi preludio visibile alle formosità prossime della donna.
Il corpo insomma come testimone oculare di un cambiamento scritto nella storia genetica, atteso ma anche temuto e vissuto con disagio. Perché nella fase puberale, quel mutare pelle, quel perdere la fisionomia conosciuta e ritrovarsi altro, non è un’esperienza esaltante. Spesso è avvilente e fa sprofondare nella vergogna. Molti adolescenti sia maschi che femmine, a guardarsi allo specchio, in quell’epoca non si riconoscono. Non si ritrovano in un corpo che non ha ancora forma definita, che non è né carne né pesce, non è più quello del bambino ma non è ancora quello dell’adulto.aDal libro: G. Maiolo, Psicologia del quotidiano, Ed. San Paolo