Quando ho conosciuto l’autismo

Autism Concept

Era il 1976. Esattamente 40 anni fa quando incontrai per la prima volta l’autismo. Un disturbo sconosciuto , misterioso, di cui si sapevano poche cose. Come del resto oggi. Avevo appena iniziato a fare la professione, psicologo volontario in formazione, quando conobbi un ragazzone con un corpo enorme e un andamento goffo, un omone di quasi trent’anni ma con il viso imberbe da bambino. Ti vedeva ma non ti guardava, ti sentiva ma non ti ascoltava. Si prendeva tutto lo spazio di cui aveva bisogno, ma non ti lasciava niente. Ti dava solamente il suo vuoto.

Me lo affidò il direttore del Centro di Verona dove avevo iniziato a operare, un prete dinamico e sbrigativo che si chiamava Don Antonio Mazzi.

Fu in una estate calda, torrida che, cominciando ad operare in una cooperativa di recupero psicosociale con giovani cerebropatici, incontrai Adelio che se ne stava arrotolato nei suoi gesti tutti uguali e ripetitivi e ti guardava senza vederti. La prima cosa che pensai fu quella di essere trasparente per lui. Peerché l’autismo ti da la sensazione di non esserci per l’altro.

Non parlava quasi mai, ovvero parlava ma non comunicava. L’unica cosa che faceva era porti una domandava, sempre e solo la stessa, ripetuta dieci, cento, mille volte al giorno: “Dov’è mio papà ?”. Molte le sue intonazioni, infinite le varianti ma le parole erano sempre quelle e ogni risposta  assolutamente inutile. Era distante da tutto e da tutti, isolato in un suo mondo impenetrabile, dove sembrava non ci fosse spazio per null’altro che per questo interrogativo.

Ipersensibile ai rumori, soffriva molto ogni suono acuto e si riparava le orecchie fuggendo lontano, nascondendosi a tutto. Capii presto che nello sguardo di Adelio, inespressivo e senza intenzioni c’era un’angoscia infinita.  Il suo mondo sconosciuto e inavvicinabile fu per lungo tempo un mistero per me. Anzi lo rimase in gran parte anche se cercai di avvicinarmi a lui, al suo universo impenetrabile, quel tanto che lui mi permise. Isolato da tutto, sospettoso di ogni cosa che non conosceva, distante da ogni rapporto umano, ricordo che Adelio non amava  essere toccato. Nemmeno sfiorato. E io restai per un lungo tempo al suo fianco, gomito a gomito, a disegnare strane figure che lui iniziava e io completavo. O vicevesa. Non c’erano parole che ci univano, tantomeno gesti significativi. Solo fogli scarabocchiati insieme e figure a me incomprensibili, linee e macchie qualche volta paurose.

Ci volle molto tempo perché mi riconoscesse e mi sapesse vicino. O almeno così pensai. Accadde un giorno che, senza guardarmi mentre si camminava nel cortile del Centro, mi prese un braccio, si appoggiò al mio e si permise di sentirmi e di toccarmi. Rifiutò sempre il contrario. Scappava  se ero io a toccarlo. Solo lui poteva appoggiarsi al mio braccio. In questo modo cominciammo a girare la città, a fare la spesa al supermarket e, in qualche modo, a comunicare quel tanto che lui poteva. Un po’ alla volta e dopo due anni di vicinanza mi diede un po’ di spazio nei suoi sguardi, mi fece entrare per piccolissimi istanti nelle sue paure, nei suoi tormentati pensieri. In qualche raro momento mi chiamò anche per nome per pormi direttamente la sua assillante domanda. Poi chiudeva le sue porte e mi lasciava fuori.

Lo ricordo con affetto Adelio. Mi ha insegnato ad ascoltare il vuoto e a stare in sospensione.

Giuseppe Maiolo

Quando ho conosciuto l’autismo ultima modifica: 2016-04-02T22:48:35+00:00 da Giuseppe Maiolo

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