Fase 2. Il dubbio “Restare a casa o uscire?”

Pensatore-Rodin

C’è in giro un dubbio. Un inquietante dilemma che, se non contagia quanto il COVID-19, ci va vicino. L’interrogativo è “Restare in casa o uscire?” “Star dentro o fuori?”. Sembrerà strano ma lo vivono in molti da quando si è aperta la Fase 2 che ha posto fine alla quarantena.  In alcuni il dubbio genera conflitto e, per quanto paradossale visto il desiderio comune di tornare alla vita sociale, produce tensione e ansia.

Non è una battuta casuale quella del “Quasi quasi non esco più!” pensata forse da chi ha attraversato il lockdown senza grosse difficoltà, con poche ristrettezze fisiche e pochi doveri familiari. Ma non è un’idea rara.

Fa pensare che per certuni la sosta forzata della quarantena non è stata così problematica, quanto piuttosto un’occasione che ha permesso di vedere con chiarezza la negatività dei ritmi di vita del passato fatti di corse e di impegni e con la quasi totale mancanza di tempo da dedicare a se stessi.

Ma nel momento in cui le porte vengono aperte ed è concreta la possibilità di tornare a vivere il mondo e le relazioni, pur con i dovuti limiti, ci accorgiamo che si può non esultare di gioia.

Vi sono alcuni così che temono questa apertura e preferirebbero rimandare l’incontro con il mondo.

La lettura di questo aspetto fa subito pensare alla paura del virus e al timore di vedere nuovi contagi e nuove vittime. Questo è sicuramente vero.

È un sentire che del resto coincide con le raccomandazioni delle autorità sanitarie le quali invitano o impongono di prestare attenzione alle ricadute e alla recrudescenza dell’epidemia che, peraltro, appartiene alla storia di tutte le pandemie. Benché si conosca il pericolo derivante dall’ abbassare la guardia e dalla sottovalutazione di nuovi contagi (di solito più numerosi di quelli della prima ondata), sappiamo che è una evenienza possibile e per nulla remota.

Allo stesso tempo conosciamo bene quanto la paura della malattia, come tutte le paure, sia destinata a diminuire man mano che si attenua la preoccupazione per il virus e per il suo potere letale.

Allora il saper attendere e contenere il desiderio di tornare immediatamente alla vita sociale e alla libertà di movimento, può essere un atteggiamento saggio e sano in grado di proteggere noi e gli altri.

Ma quel voler rimanere chiusi in casa, in apparenza giustificato dal coronavirus, potrebbe anche sottintendere qualcosa d’altro. Preferire il “dentro” al “fuori”, il riparo rassicurante della propria abitazione alla dimensione dello spazio aperto, fa pensare a una forma di angoscia profonda che nasce dall’insicurezza e dal timore di non sapersela cavare da soli. Allude probabilmente al bisogno di essere contenuti e protetti e poter trovare sicurezza in un posto sicuro come è la propria casa.

Abbiamo capito che nulla sarà più come prima ma anche che nessuno può immaginare quale futuro sarà possibile né intravvedere una “normalità” di vita oltre questo tsunami di eventi. Allora l’idea di restare ancora protetti dalle pareti domestiche, può rappresentare il tentativo di combattere quel sotterraneo e diffuso sentimento di impotenza che ci parla delle nostre fragilità.

I dubbi che aumentano, le incertezze legate alla crisi economica e alla prospettiva della mancanza del lavoro generata in tempi ultraveloci dalla pandemia, paralizzano e ci fanno sentire il peso di una vulnerabilità trascurata.

Non è per nulla strano che da questo totale stato di precarietà e dalla mancanza di prospettive future, insieme al bisogno di fare scorte di disinfettanti per la casa e di beni alimentari, scaturisca anche l’esigenza di trovare quote di rassicurazione e di contenimento dell’ansia che, almeno in parte, possano bilanciare la paura della malattia virale e quella per la perdita di controllo sulla vita.

Giuseppe Maiolo

Foto: August Rodin Il pensatore

Fase 2. Il dubbio “Restare a casa o uscire?” ultima modifica: 2020-05-17T00:29:05+00:00 da Giuseppe Maiolo

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